Decreto Attuativo L. R. n. 35 del 29.12.2020

Venerdì 14 giugno 2024 è stato pubblicato nella G. U. R. S. (Anno 78° - Numero 27 – Parte prima) il DECRETO PRESIDENZIALE 7 maggio 2024, n. 21 che riguarda il “Regolamento di attuazione dell’articolo 7 della legge regionale 29 dicembre 2020, n. 35, concernente le norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela del consumo dei Tartufi freschi o conservati – tutela degli ecosistemi tartufigeni”

g24-27.pdf

Ricordiamo il calendario della Raccolta tartufi in Sicilia (Legge 29 dicembre 2020 n, 35)


Il ddl sulla tutela e valorizzazione del Tartufo siciliano è finalmente legge.

Circa quasi due anni dalla presentazione, è stato finalmente approvato, all’Assemblea Regionale Siciliana, il disegno di legge n. 496/2019 “Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela del consumo dei tartufi nella Regione Siciliana”, del quale la nostra Associazione ha partecipato alla sua stesura. Si è così colmato un vuoto legislativo.


TROPPI RITARDI

Nonostante che le norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela dei tartufi nella Regione Siciliana (legge n° 35) sia stata approvata nel lontano 29 Dicembre 2020, l'iter legislativo che riguarda la sua applicazione è ancora fermo: mancano ancora le regole.

È necessario completare al più presto questo iter legislativo per non vanificare il lavoro svolto fin qui.

Condividiamo l'articolo pubblicato dal Giornale LA SICILIA.


16 Maggio 2022 

Creato il Comitato Scientifico de Centro di Ricerca per la Valorizzazione del Tartufo e della Tartuficoltura in Sicilia. In data 4 maggio 2022, un gruppo ristretto di esperti micologi e amanti della natura e della propria terra, appassionati di funghi di interesse alimentare e scientifico (epigei e tartufi ), alla presenza di Nino Iacono si sono riuniti - Ennio Genduso di Palermo, Antonino Mannina di Trapani, Mario Prestifilippo di Mazara del Vallo e Gianrico Vasquez di Catania, - in rappresentanza del Centro di Ricerca per la Valorizzazione del Tartufo e della Tartuficoltura e sotto la supervisione di Giuseppe Venturella (Prof. Ordinario dell’Università di Palermo) e Marco Morara (Presidente Commissione Tartufi provincia di Bologna), hanno posto la prima pietra per la costituzione del Comitato Scientifico afferente allo stesso centro di ricerca. Il gruppo essenzialmente si propone di promuovere ogni iniziativa scientifica e divulgativa sui temi della micologia dei tartufi e di contribuire alla difesa dell'ambiente, della biodiversità e della prevenzione alla salute nella regione Sicilia. Nel sostenere la tutela e la valorizzazione del tartufo, protagonista e fautore della neo Legge approvata il 15 Dicembre 2020 “Norme in materia di raccolta, coltivazione, commercio e tutela del consumo dei tartufi nella Regione siciliana”, il suddetto Comitato promuove delle iniziative, programmi ed interventi volti a favorire la conservazione e la diffusione delle produzioni autoctone del tartufo; la tutela degli ecosistemi naturali delle aree vocate alla tartuficoltura; la valorizzazione delle produzioni di qualità e di pregio anche nelle tartufaie controllate e coltivate; la coltivazione nei vivai del territorio siciliano di piante idonee allo sviluppo della tartuficoltura e la produzione di piantine micorrizate; la promozione di manifestazioni fieristiche e l'avvio di percorsi formativi scientifici dedicati ai micologi e/o anche ai semplici appassionati della materia; qualsiasi forma di supporto ai fini della Legge Regionale in materia. Il Comitato Scientifico, a garanzia degli obiettivi promossi, si impegna fin da subito, in attuazione della su detta norma, ad assicurare la sua presenza nel territorio e un costante lavoro in materia di tartufi in Sicilia, in sinergica collaborazione con gli enti locali. Dopo anni di studio e ricerca sul mondo del tartufo, dichiara il Nino Iacono, ci sono tutti gli elementi per creare la cultura del tartufo e renderla una filiera produttiva anche in Sicilia.


Coltivazione del tartufo. L’importanza della certificazione.

La coltivazione del tartufo o tartuficoltura è oggi possibile. Per creare una tartufaia coltivata, cioè un appezzamento di terreno adatto alla produzione intensiva del tartufo, occorre:

1.     scegliere un terreno calcareo, povero di humus, con un pH leggermente alcalino (anche se poi ogni specie predilige una tipologia di suolo particolare),

2.     acquistare ed impiantare idonee essenze arboree ed arbustive indigene (autoctone) micorrizate con tartufo locale certificato,

3.     scegliere le specie tartufigene che più sia adattano alle caratteristiche della zona dove si devono impiantare,

4.     migliorare la tartufaia naturale con opportune pratiche colturali: non curare la tartufaia dopo l'impianto è un grosso errore che non bisogna fare.

Le piantine, prima di essere messe a dimora nel terreno eletto a tartufaia, vengono preventivamente micorizzate (cioè si tratta di inoculare artificialmente le ife del tartufo sulle radici della piantina scelta) con tartufo, preferibilmente locale certificato, per evitare di importare ecotipi che potrebbero danneggiare le tartufaie autoctone. I fattori di successo di una tartufaia coltivata dunque sono essenzialmente tre: un buon terreno, una buona pianta realmente micorizzata e certificata e un buon protocollo di coltivazione. Ma creare la simbiosi tra il tartufo e la giovane pianta ospite è una di quelle operazioni che sono tutt'altro che semplici. Per questo motivo è essenziale rivolgersi a vivai specializzati che diano la sicurezza che sulle radici delle piante acquistate ci sia la presenza di micorrize del prezioso fungo ipogeo attraverso una certificazione rilasciata da laboratori di ricerca siciliani.

Queste le strutture che hanno le adeguate competenze per certificare le piante tartufigene

·       Le Università degli Studi (Dipartimento di Scienze Agrarie, Dipartimento per l’innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali, ecc.) o in alternativa

·       Il CNR (Istituto di Bioscienze e Biorisorse, ecc.)

Tutto questo a garanzia del tartuficoltore per evitare di non trovare dopo un po' di anni (non meno di 5-7) nessun tipo di tartufo imprecando per essere stato preso in giro e per evitare, come abbiamo già detto prima, di importare specie di Tuber aliene invasive che potrebbero danneggiare seriamente le nostre tartufaie.


I tartufi in montagna

Tutti pensiamo che i tartufi li possiamo trovare solamente in pianura oppure in collina.

Ma in montagna possono crescere i tartufi?

E se sì, sino a quale altitudine?

Premettiamo che si definisce per montagna un rilievo (o un insieme di rilievi) la cui altezza supera i 600 metri.

A sua volta la montagna si divide in:

·       Bassa montagna (orientativamente sino ai 1.000 metri);

·       Media montagna (fino ai 1.800 e 2.000 metri);

·       Alta montagna (oltre i 2.000 metri).

In Italia si è riscontrato che il limite massimo di sviluppo dei tartufi (ed in genere di tutti i funghi ipogei) si trova intorno tra i 1.600 e i 1.800 metri di quota, dove potremo trovare per esempio il Tuber brumale e il T. aestivum f. uncinatum mentre poco più in basso in estate troveremo anche lo scorzone (T. aestivum).

Fermo restando che, oltre la stagione di ricerca, anche il clima rappresenta un limite dello sviluppo dei carpofori (o meglio “sporofori”) ipogei, pubblichiamo una tabella esemplificativa che riporta, in linea generale, le altitudini max. alle quali, in Italia, possiamo ritrovare le principali specie (quelle ammesse dalla nostra legge nazionale) appartenenti al Genere Tuber.


Nomi comuni dei tartufi 

Come per la maggior parte dei funghi epigei che hanno i loro nomi comuni, anche quelli ipogei vengono chiamati volgarmente con nomi diversi in base alle varie località di raccolta. Di seguito diamo una breve elencazione di questi nomi volgari, riferiti per il momento solamente alle nove specie di tartufi che si possono raccogliere e commercializzare nel nostro Paese.


Ancora sulla sporulazione passiva dei funghi (parte 1)

Abbiamo già parlato sulle strategie per sporulare adottate da un gruppo di funghi che gli inglesi chiamano “Puffballs”. Ma a questo punto ci chiediamo: come faranno i tartufi (e sicuramente tutti gli altri funghi ipogei) a disperdere le spore nell’ambiente circostante visto che trascorrono tutta la loro esistenza sottoterra e praticamente non affiorano mai? Inoltre qualcuno si sarà sempre domandato se i cinghiali o i maiali inselvatichiti saranno un serio pericolo per le nostre tartufaie spontanee quando questi animali, girando indisturbati soli o in colonie per i nostri boschi, sono alla perenne caccia dei preziosi funghi. Anche se molti potranno storcere il naso, affermo con sicurezza che la presenza di un cinghiale rappresenta una vera e propria risorsa per la diffusione delle spore e di conseguenza dei tartufi. A ragion veduta, il cinghiale è considerato uno dei maggiori diffusori delle spore dei Tuber in genere. Infatti, una volta ingerito il “fungo ipogeo”, le spore vengono espulse sia tramite le loro feci (ricordiamoci che le spore non vengono digerite), sia attraverso i residui sul muso e sulle zampe. Pertanto la circolazione dei cinghiali per monti e boschi di casa nostra, se da un lato di sicuro ridurrà la produttività di una vecchia tartufaia (in quanto questi suini distruggono molti pianelli e molte stazioni di crescita vandalizzando le radichette delle piante simbionti e quindi del micelio), dall’altro farà in modo che si creino le condizioni affinchè se ne crei una nuova in modo tale che il ciclo della natura possa continuare in eterno senza interruzioni. Ma in natura i cinghiali non sono gli unici animali, oltre l’uomo, che ci cibano di questi funghi ipogei. Esistono in realtà altri esseri viventi (tassi, istrici, lumache, ghiri, topi di campagna, caprioli e molteplici insetti) che, attratti dall’odore che emanano i tartufi, si comportano di conseguenza anche loro da veri e propri veicoli propagatori delle spore che così disseminate possono, in condizioni ottimali, diffondere la specie.

(continua…)


Ancora sulla sporulazione passiva dei funghi (parte 2)

Ma in che modo i tartufi riescono ad attrarre questi animali spingendoli a nutrirsene facendo sì che le spore possano essere disseminate nell'ambiente (e questo per favorire la diffusione dei tartufi stessi)? Una interessante ricerca tutta italiana, effettuata nel 2014 utilizzando soprattutto il tartufo nero (Tuber melanosporum), ha scoperto che questi funghi contengono infatti in quantità elevate una 'molecola del piacere' simile alla sostanza che fornisce le sue proprietà psicoattive alla cannabis, spiegando in tal modo come gli animali sono così eccitati in prossimità di un ritrovamento di tartufi. Si tratta dell'anandamide, simile alla Thc, il cui nome deriva dalla parola sanscrita “ananda” e significa piacere estremo, beatitudine, estasi. Sembra che questa sostanza sia psicoattiva e non serve ad attirare l'animale da lontano ma ad appassionarlo a questo cibo. È noto che questo endocannabinoide è presente anche nel latte materno e serve per stimolare il neonato ad assumerlo. Pertanto il tartufo produce questa molecola per spingere gli animali a mangiarlo e poi per distribuire le sue spore principalmente attraverso le feci: è questo il meccanismo usato dai funghi ipogei per diffondersi nell'ambiente utilizzando la complicità degli animali che lo mangiano. Nell’antichità questa caratteristica del tartufo era nota grazie all’esperienza, infatti fin dal Medioevo già alcuni studiosi ritenevano il profumo di questo speciale fungo capace di indurre l’uomo in estasi. E vi sono inoltre dei riferimenti ancora più antichi che menzionano il potere afrodisiaco di questo alimento. Il tartufo è stato in realtà per secoli consumato dai ricchi come sono oggi consumate le patate e quindi i suoi effetti erano allora evidenti, mentre l’uso moderno come cibo aromatizzante ha fatto credere che le sue mirabolanti proprietà fossero un mito. Ma oggi, grazie alla scienza e alla tecnologia moderna, è stato svelato che la fama dei tartufi, oltre al loro odore e sapore unico, è sempre stata giustificata e continua a soddisfare i palati sia degli umani che degli animali.

Concludiamo dicendo dunque che i tartufi, per poter disperdere le loro spore, hanno bisogno di essere mangiati dagli animali: il loro intenso odore li attira, l'anandamide li soddisfa e il ciclo della natura continua in eterno e senza interruzioni.


Paese che vai, tartufo che trovi

Nel mondo le specie di Tartufi (solo quelli appartenenti al Genere Tuber) sono 63, in Italia ne sono presenti 23, ma solo 9 di esse sono considerate, in base alla Legislazione italiana vigente, commestibili e solo 6 le più comunemente commercializzate. Le altre specie di Tuber, pur essendo alcune commestibili, sono considerate di scarso o nessun interesse in quanto caratterizzate da proprietà organolettiche non apprezzabili in cucina, altre ancora sono anche lievemente tossiche. Di seguito vengono elencate, naturalmente in modo non esaustivo, le specie di tartufi presenti nei cinque continenti del nostro pianeta.


Lo scorzone

Il Tuber aestivum o “scorzone” è certamente il tartufo più diffuso in Italia, ma alla pari di molti funghi epigei che spuntano in estate, non sfugge al triste destino di essere larvato. E se, dopo essere stato raccolto, non riusciamo ad eliminare la parte abitata dalle larve, non ci resta che sotterrarlo di nuovo in modo tale che possa sporulare per diffondere nell’ambiente la specie.


Insetti che parassitano i tartufi 

Chi va a tartufi sa che in prossimità delle tartufaie (in particolare quelle di Tuber aestivum Vitt.) può notare le attività frenetiche della famosa “mosca del tartufo” (Suillia pallida) o comunque la presenza di numerosi insetti (tra cui coleotteri e ditteri).

La presenza dell'insetto è un segnale evidente dell’esistenza del tartufo in zona e se prestiamo molta attenzione possiamo addirittura individuare l’esatta posizione dello sporoforo sotterraneo.

A tal proposito va ricordato che il tartufo non deve essere raccolto se non segnalato dal cane: infatti sono frequenti i casi in cui il cane si avvicina al tartufo ma ignora la sua presenza.

Il motivo?

Si tratta di un tartufo immaturo (che non va assolutamente raccolto): al suo interno le spore non si sono ancora formate e questa situazione rende il tartufo completamente inodore.

Ricordiamo che le attività che gli insetti esercitano sui tartufi sono di due tipi:

·       alimentare,

·       di nido (per deporre le uova).

Inoltre tutti gli insetti hanno le loro abitudini, pertanto esse possono subire variazioni in relazione a vari fattori ambientali come:

1.     la temperatura,

2.     la luce,

3.     il vento,

4.     l'umidita

5.     la pioggia

 alterando in tal modo l'attività giornaliera dell'insetto.

Concludiamo questo breve articolo che tutti gli insetti che nel loro ciclo vitale hanno stretti rapporti con i tartufi, aiutano in ogni caso la disseminazione delle spore favorendo in tal modo la dispersione e la perpetuazione delle varie specie ipogee.

Alleghiamo infine una tabella con le principali specie di insetti che esercitano attività sui tartufi.